Non è mai semplice affrontare un argomento simile sia per la sua vastità che per le ricadute che comporta.
Vorrei cercare di chiarire razionalmente alcuni spunti che mi accompagnano da ormai quasi 35 anni. È questa la mia anzianità di lavoro in edilizia, nei cantieri, prima come lavoratore dipendente, poi come artigiano.
Prima, però, è necessario demolire una falsa credenza: pare che chi opera nei cantieri sia personaggio masochista e sempre alla ricerca del rischio, che gli edili siano persone assolutamente prive di capacità di pensiero, ma posso assicurare che chiunque lavori in cantiere ha ben presenti i rischi insiti nel luogo e nel lavoro che svolge. Nessuno di noi ha la testa tra le nuvole, nessuno di noi ritiene che si possa eseguire un lavoro senza le necessarie misure di sicurezza. Anche perché il rischio è sempre nostro.
I numeri sono impressionanti. Non sto qui a ripeterli, li sentiamo tutti i giorni (o quasi). Non penso che si debba fare una riflessione sui numeri in sé, ritengo che anche una sola persona che perde la vita per il lavoro sia troppo, sia inaccettabile. È però giusto, anzi doveroso, chiedersi cosa si può fare.
Sembra che le cause e le soluzioni siano la mancanza di formazione dei lavoratori e la carenza dei controlli degli organi preposti, nello specifico l’Ispettorato del Lavoro e INAIL. Come a dire che il superamento di queste due carenze porterebbe alla risoluzione del problema.
Lavorando nei cantieri da una vita posso dire di aver assistito a parecchie ispezioni, ma devo anche constatare che una cosa era l’ispezione venti o più anni fa e un’altra cosa sono le ispezioni odierne. Provo a raccontare.
In passato l’ispettore arrivava e controllava il ponteggio (se esistente), le scarpe antinfortunistiche e i cavi elettrici. Ricordo parecchi episodi in cui il capocantiere, in presenza dell’ispettore, doveva tagliare le prese elettriche non a norma o eliminare immediatamente prolunghe fantasiosamente allestite o modificate. Ricordo anche un episodio in cui l’ispettore aveva obbligato un lavoratore ad andare a casa a prendere le scarpe adeguate, che lo stesso aveva là dimenticato. L’ispettore era, molto spesso, una persona che conosceva il lavoro di cantiere, per cui sapeva dove andare a controllare e cosa guardare. Durante la visita parlava coi lavoratori e, all’occorrenza, spiegava quanto necessario.
In questi ultimi anni, invece, l’ispettore controlla le carte che il capocantiere deve avere in baracca, controlla che tutto sia firmato e timbrato, che i lavoratori presenti in cantiere abbiano tutte le carte in regola (nel senso di documenti cartacei). Pare che la visita ispettiva sia diventata una pratica burocratica. E sempre si conclude con sanzioni per qualcuno, sanzioni per mancanza di carte o per documentazione scaduta o irregolare o illeggibile… Oppure sanzioni per qualcosa che riguarda le betoniera (sempre presente nei cantiere e sempre al limite delle regole): sanzione per mancanza di una vite nel coperchio o per insufficiente copertura (la tettoia), oppure perché la tettoia non pare essere fissata a dovere…
È tutto vero, così com’è vero che, una volta, ho visto entrare in cantiere una funzionaria con le scarpe col tacco alto.
A volte l’impressione è che il cantiere venga considerato come una specie di ‘fondo economico’ da cui attingere: quando serve far cassa è sufficiente andare in qualche cantiere e verificare tutta la parte burocratica. Certamente qualche irregolarità è scontata, tra le centinaia di pagine di carta che ogni ditta deve produrre.
Rispetto alla formazione dei lavoratori, invece, vorrei fare alcune considerazioni.
Attualmente un lavoratore che entra in edilizia per la prima volta deve sostenere una formazione in Cassa Edile, cioè un corso della durata di sedici ore al termine del quale riceve un attestato che ne certifica la partecipazione. Ho approfondito i contenuti del corso e mi pare si tratti di pura ‘teoria del cantiere’ basata su un luogo di lavoro ideale, progettato al computer. Al termine di tale corso le persone vengono assunte e mandate in cantiere, dove si trovano di fronte a un ambiente praticamente sconosciuto.
Non penso che sia sufficiente modificare i contenuti della formazione, penso che in sedici ore, come pure in trenta, non si possa fare una formazione che aiuti a riconoscere ed evitare i rischi reali. A volte anche questi corsi diventano un iter burocratico che è obbligatorio seguire a prescindere dall’effettiva efficacia.
Perciò penso sia meglio evitare di nascondersi dietro al dito della carenza di formazione come causa degli incidenti sul lavoro.
Le cause vere sono gli appalti al maggior ribasso possibile (però con quintalate di carta da produrre), i ritmi di lavoro sempre maggiori (perché i compensi diminuiscono, per cui si deve correre per compensare) e, in gran parte, l’aumento dell’età pensionabile: si provi a pensare a cosa può voler dire stare su un ponteggio a 60 e più anni d’età. Altro che formazione e controlli (sicuramente necessari).
Ma, forse, tutto questo lo può comprendere solamente chi ha provato a lavorare in cantiere.