Pubblico qui la lettera da me inviata a:
— Assessore alla Cultura di Ravenna;
— Sovrintendente ai Beni Culturali della Romagna;
— Servizio Turismo e Attività Culturali del Comune di Ravenna;
— Opera di Religione della Diocesi di Ravenna;
— Cooperativa “Il papavero” e Associazione Culturale Guide e Accompagnatori Turistici.
Ieri, lunedì 29 dicembre 2014, sono partito da Milano con mia moglie e un amico diretti a Ravenna per contemplare il contenuto della Basilica di San Vitale. Erano diversi anni che desideravo farlo.
Come sempre, avevo preparato la visita attraverso uno studio di quanto avrei visto. Sottolineo che il mio obiettivo principale era, appunto, San Vitale (e quello secondario il Mausoleo di Gallia Placidia), mentre avevo coscientemente deciso di rinunciare al resto della città e delle opere da essa ospitate per concentrarmi essenzialmente sul mio interesse principale.
San Vitale deve la sua indiscussa fama ai mosaici bizantineggianti, ma la mia attenzione personale e professionale era per i marmi in essa presenti. Si tratta di ben ventisei tipi di marmo diversi, alcuni assolutamente unici: quando è stata costruita, sono stati utilizzati tutti i marmi in quel tempo conosciuti.
Era un messaggio di grandezza e potenza. Geometricamente si può immaginare questa chiesa come un’ellisse con due centri focali: il mosaico e il marmo. La presenza di entrambi caratterizza l’ellisse.
Risultato: sono rimasto profondamente deluso e indignato. Anzitutto non esiste un solo cartello esplicativo, una guida. La gente che entra non sa cosa può trovare, non sa come muoversi per gustare le opere contenute o, semplicemente, non sa cosa cercare. Siamo ancora schiavi della concezione preistorica di chi pensava che non si devono mettere spiegazioni al fine di guadagnare con la vendita delle guide/visite guidate senza renderci conto che funziona esattamente al contrario? Non si acquista un libro, una guida proprio perché si è rimasti affascinati, emozionati dall’incontro con l’opera?
La conseguenza di ciò è che le persone entrano con il naso all’insù per cercare i mosaici (equazione di reminiscenza scolastica: Ravenna = mosaico) e camminano senza neppure rendersi conto di quanto calpestano o di quanto li attornia. E, guardando i mosaici dell’abside, pensano che il chiaro-scuro delle tessere dorate sia un gioco di luce e non un sintomo della cattiva conservazione degli stessi. Vogliamo continuare a vivere di rendita fino a quando le tessere saranno irrimediabilmente rovinate?
Il terzo motivo di indignazione è lo stato di conservazione dei marmi: coperti di polvere e ragnatele, spenti da una patina di sporco che li rende inguardabili. Alcuni bucati o rappezzati da interventi di un presunto restauro. Tutti segni di una manutenzione assolutamente inesistente e di un disinteresse assoluto.
E, come già accennato, la totale mancanza di indicazioni: c’è una colonna di breccia verde d’Egitto unica al mondo, ci sono colonne e lastre in proconnesio le cui venature portano effetti inattesi (una figura femminile, un monaco, un crocefisso, un gufo, un razzo, un cinese, per esempio), e ancora lastre di marmo cario a macchia aperta semplice o doppia, rote di marmo verde di Tessaglia e di Grecia, di porfido rosso d’Egitto e granito egiziano… Quanti entrano ed escono senza nemmeno sapere che tutto ciò esiste? Ma quante occasioni perse e, magari, non più ripetibili?
Altro potrei dire, ma preferisco fermarmi qui. Non prima, però, di avere aggiunto la ‘perla’, la goccia che ha fatto traboccare la mia indignazione, l’ultimo atto – in ordine cronologico – di una giornata segnata da delusione e amarezza.
L’altare di San Vitale è costituito da quattro colonnine di marmo verde di Tessaglia che reggono una lastra di alabastro egiziano mielato di dimensioni importanti: due metri e trenta di lunghezza, un metro e venti di larghezza e otto centimetri di spessore. Nonostante uno spessore così elevato, mantiene le caratteristiche della trasparenza. In più è una lastra pura, quasi completamente esente da intrusioni. Un marmo che solamente per quanto sopra esposto dovrebbe avere un posto d’onore nelle visite.
Invece, era coperto da una tovaglia: la mia ingenuità mi ha portato a pensare che ci si fosse dimenticati di toglierla dopo l’ultima celebrazione religiosa. Ho fatto presente la cosa al personale presente all’ingresso, ma mi sono sentito rispondere che non si poteva scoprire l’altare e che nel Mausoleo di Gallia Placidia avrei potuto osservare l’equivalente nelle finestre là presenti! Altro che indignazione: a parte il fatto che non si può affermare la somiglianza tra due marmi diversi (alabastro mielato e alabastro fiorito), mi chiedo: ma è possibile che non sia stato possibile togliere la tovaglia e rendere visibile il meraviglioso marmo sottostante (tra l’altro inavvicinabile perché in zona transennata)?
Delusione, indignazione, rabbia, amarezza. Questo mi riporto a casa dalla vostra città. Altro che capitale della cultura: possedere gioielli artistici non è opera di merito, lo è conservarli e farli conoscere.
Il pavimento del presbiterio
L’altare in alabastro
A seguito della mia denuncia soprastante, ho ricevuto dal Comune di Ravenna una lettera di risposta, visualizzabile cliccando qui.
Da parte mia ho, quindi, provveduto a replicare con un’ulteriore missiva, visualizzabile cliccando qui.