… ovvero il valore di una penna o matita.

Non ci sono parole adeguate per comunicare quanto suscitato in me dalla strage di Parigi dello scorso 7 gennaio presso la redazione di Charlie Hebdo. È una di quelle occasioni in cui il linguaggio conosciuto non risulta sufficiente, idoneo, adatto, all’altezza, appropriato; pare, addirittura, che l’intero vocabolario sia povero e inadeguato.
Ho lasciato sedimentare in me l’accaduto nella speranza di riuscire a recuperare le parole per esprimere il profondo. Alla fine, ne ho recuperate tre: lapis, libro, risata.
Lapis: letteralmente, in italiano, significa matita, cioè “verghetta di grafite o di altra materia di vario colore racchiusa in un cannellino di legno, metallo o altro materiale, usata per scrivere o disegnare” (dizionario Hoepli). L’etimologia della parola è dal latino lapis, cioè pietra, sasso, marmo; basti pensare alle lapidi che sono le pietre miliari, di confine o sepolcrali. bella questa immagine: la matita associata alla pietra, per scrivere qualcosa di duraturo.
Libro: in origine la parola latina liber indicava la membrana sottile che si trova sotto la corteccia dell’albero, quella che poi fu definita “papiro”, quella che i nostri antichi utilizzavano come tavola per la scrittura. Addirittura, i Fenici avevano una città chiamata Biblos, perché dalla sua regione traevano la materia prima per fare la carta. Oggi, per noi, il libro è un insieme di fogli di carta scritti. Mi viene da sorridere al pensiero che le tre grandi religioni monoteiste (cristiana, ebraica, musulmana) hanno in comune il loro fondarsi su un libro. Un libro che definiscono “sacro”.
Risata: sembra incredibile, ma anche questa parola si trova alla base delle tre grandi religioni di cui sopra. Uno dei grandi patriarchi di queste religioni è Isacco, la cui sua vita è narrata sia nella Bibbia che nel Corano. Il nome Isacco (in ebraico Yishaq, che significa “colui/colei che riderà” o “colui/colei che ha riso”) proviene dalla reazione di sua madre Sara all’udire la profezia della sua nascita: ella era sterile e assai anziana, come pure il padre Abramo. Eppure, di fronte a quella risata, la divinità non si è arrabbiata, ma ha semplicemente indicato il nome da dare al nascituro, come perenne ricordo di quella risata. Una reazione quasi satirica.