… ovvero: ricordare sempre di avere davanti il risultato di milioni di anni di paziente lavoro della natura.
Vorrei cercare di trasmettere alcune piccole informazioni che ritengo indispensabili per la comprensione/convivenza con un materiale come il marmo, anzi la pietra.
È l’ultimo passo del cammino nel quale solitamente accompagno le persone, nella consapevolezza che dopo la scelta il materiale rimane a loro e loro devono viverlo e conviverci.
Nel mio piccolo, cerco di estrarre dai marmi i loro suoni, cerco di accompagnare coloro che si accostano al mondo del marmo e della pietra affinché comprendano la sintonia (o meno) con il materiale. Penso che ogni pietra abbia una propria vita che dev’essere rispettata e che, per farlo, sia necessario conoscerla, sentirne la voce e il suono. Molto umilmente.
E queste poche note possono diventare un supporto.
In primo luogo il nome: è conosciuta come Thala Gris, a volte anche come Maktar Grey, Limestone Grigio, Grigio Tunisia o simili. Ovviamente il colore è il grigio chiaro, molto simile al cemento.
Poi la storia: è una pietra che proviene dalla Tunisia, non viene cavata dal taglio delle montagne (come il Carrara) ma la natura ha formato delle falde che devono ‘solo’ essere staccate. Come i libretti dei bambini con le pagine molto spesse: ogni pagina è una falda che il passaggio paziente dell’acqua ha isolato dalle altre.
Queste falde di solito hanno uno spessore variabile dai 50 ai 90 centimetri, solitamente la parte iniziale e quella finale hanno molte intrusioni di colore beige, il colore grigio lo si trova nella parte centrale di questi blocchi.
È una pietra che si è formata per sedimentazione: cioè per accumulo costante nel corso dei millenni di materiale organico o inerte saldato insieme da calcare, sabbia e altri leganti naturali. Il fatto che gli inerti presenti siano di dimensione ridotta (diametro compreso tra i 2 millimetri e 1/16 di millimetro) classifica questa pietra tra le Arenarie (o Limestone).
La zona di estrazione è l’area attorno alla attuale città di Maktar, situata a circa 950 metri di altitudine ai bordi di un vasto altopiano che domina uno dei punti di passaggio della grande dorsale; il paese, fondato nel 1887, è cresciuto sull’area della città antica, dalla quale ha derivato il nome.
L’antica Mactaris (oggi Maktar, appunto) fu in origine una fortezza creata dai re numidi per proteggere il regno dalle incursioni dei nomadi. La fondazione della città vera e propria si situa forse all’inizio del I secolo a.C., quando coloni di origine punica vi si installarono col beneplacito dei Numidi che costituivano probabilmente la popolazione originaria. I fondatori punici introdussero la scrittura e le proprie divinità, alle quali Maktar rimase fedele per un secolo e mezzo; fu poi romanizzata nel corso del II secolo d.C., quando conobbe un periodo di grande prosperità, e fu promossa al rango di colonia da Marco Aurelio, forse in seguito all’insediamento di coloni latini.
Dell’età romana restano ancora importanti vestigia fra cui: un arco di trionfo; un foro con il suolo costruito in marmo; un tempio dedicato al dio Hathor-Miskar; delle terme; alcuni edifici che servirono come strutture per la polizia che agli ordini di un magistrato municipale vegliava sulla sicurezza della città e dei dintorni.
Molti di questi edifici sono stati costruiti con la pietra grigia che noi chiamiamo Thala, una pietra nella quale solitamente sono molto evidenti i depositi di fossili di vario genere: si possono trovare granchietti col corpo centrale e le chele, sezioni di conchiglie o carapaci di tartaruga e altro ancora. Sono molteplici gli esoscheletri di vertebrati marini di forma allungata, come alcuni cannolicchi e ippocampi, oppure terrestri come i serpentelli.
Un occhio di riguardo alle molte ‘spirali’ che il materiale presenta: a detta degli esperti potrebbero essere le tane che i vermi hanno scavato. Il colore più scuro del bordo di tali spirali è la parete della tana: il continuo passaggio dell’animale l’ha resa più dura, quasi levigata. Quando poi il verme è morto oppure ha cambiato tana questa si è riempita naturalmente di sabbia o altro materiale: noi oggi possiamo vederne le pareti proprio perché composte di materiale diventato più duro per il continuo passaggio.
Gli sbalzi cÈomatici del materiale sono segnale di diversa composizione/esposizione, di diversa contaminazione mineralogica anche all’interno della stessa lastra. a volte capita che il colore di fondo sia il grigio ma con parecchie intrusioni giallognole.
Una sottolineatura particolare per le saline, cioè quelle venine nere che si vedono qua e là: sono rotture nella pietra dovute a movimenti tellurici cicatrizzate naturalmente da quarzo e feldspato nel corso dei secoli successivi. Sono assolutamente caratteristiche di questo materiale. Quando capita di appoggiare un pezzo di questa pietra su un piano bagnato può succedere che da queste venine risalga umidità, quasi fossero spiragli aperti. In realtà sono solitamente chiuse e difficili da rompere.
È una pietra difficile da gestire e lavorare ma di sicuro effetto. Ritengo che la finitura che maggiormente lascia risaltare la sua naturalezza sia la satinatura, un sapore vellutato e morbido. Però anche nelle finiture sabbiata, levigata e rigata riesce a trasmettere un ‘suono’ davvero unico.
Finitura ruvida
Finitura satinata
Rigatura leggera
Rigatura profonda