… ovvero la fiera del marmo e dei macchinari destinati alla sua lavorazione, un appuntamento storico per gli appassionati e per gli operatori del settore.
Anche quest’anno ci sono andato con un misto di curiosità e disincanto: il settore risente inevitabilmente della crisi di questi anni ed è difficile trovare innovazioni o spunti di interesse per esplorazioni nuove. I numeri in sé riguardanti l’evento sono sicuramente positivi: è aumentato del 10% il numero degli espositori e, sembra, anche quello dei visitatori. 53 le nazioni di provenienza degli espositori, con il ritorno di Afghanistan e Indonesia e il debutto assoluto dell’Angola.
Solitamente è interessante un padiglione dedicato al mondo del design, quest’anno chiamato “The Italian stone theatre”, realizzato con il contributo del piano di promozione straordinaria del Made in Italy, che ha raccontato l’interazione tra pietra, design e tecnologia. Più precisamente, come scritto dagli organizzatori nella presentazione dell’evento: “grazie al piano di promozione straordinaria del Made in Italy del Ministero per lo Sviluppo Economico (MISE), in collaborazione con ICE – Italian Trade Agency e Confindustria Marmomacchine, torna anche quest’anno The Italian stone theatre, un intero padiglione che mette in mostra tecnologie e sperimentazioni litiche rigorosamente italiane.
Approfondendo la linea sperimentale adottata da Marmomacc nel 2015, diventerà luogo di progetti culturali dedicati al Made in Italy, con iniziative innovative realizzate dalle aziende in collaborazione con alcuni dei più autorevoli designer e architetti internazionali.”
La prima mostra, “The power of stone”, ha cercato di proporre il design come un progetto totale che coinvolge tutta la filiera: i sofisticati macchinari e i loro utensili, la programmazione degli stessi fino quasi all’esasperazione, alla ricerca dell’assoluta precisione fino a esplorare i limiti dei materiali lapidei. Lavorazioni portate all’estremo, superfici complesse, particolari di altissima precisione. Si è trattato di una serie di installazioni progettate dal designer Raffaello Galiotto e accompagnate da video che aiutano la comprensione delle opere in mostra, le fasi di realizzazione, i macchinari impiegati e i materiali con le loro caratteristiche e precise peculiarità.
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La seconda mostra, “New marble generation”, ha coinvolto progettisti che si sono confrontati con diversi materiali lapidei con l’obiettivo di inserire nei principali settori del design il tema della serialità, cioè la possibilità di produrre componenti di arredo in maniera rapida, veloce, replicabile. È il tentativo di replicare con l’utilizzo di soli macchinari tecnologicamente sofisticati quei manufatti un tempo realizzati con sistemi artigianali. È la ricerca della replicabilità industriale (serialità): uno dei fattori basilari del successo dei prodotti di design lapidei e della loro sostenibilità commerciale.
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La terza mostra, “50 years of living marble”, è stata un omaggio alla migliore produzione di design litico italiano degli ultimi cinquant’anni. La presenza di pietre e marmi nel design italiano (anche se meno conosciuta e appariscente di altri materiali) ha una storia prestigiosa: numerosi oggetti di marmo sono diventati ‘icone’ e da sempre presenti nei cataloghi delle più prestigiose marche di design. Un percorso storico-antologico che ha messo a confronto gli storici oggetti realizzati in maniera semi-manuale con l’attuale ricerca della produzione seriale.
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Ovviamente è difficile sintetizzare, ho cercato di leggere e proporre quelle che mi sono sembrate le tendenze attuali. Il settore si sta muovendo un po’ in ordine sparso: da una parte la ricerca del mercato, il tentativo di rendere accessibile il materiale lapideo alla gran parte delle persone; dall’altra, invece, la spinta verso un’esasperazione del processo tecnologico applicato alla pietra, esasperazione che la porta a essere ‘riservata’ a pochi, nel senso che pochi ne potranno usufruire. Le tre mostre sopra raccontate (molto sinteticamente) segnano un solco: quasi il tentativo di portare nel processo produttivo il know-how del singolo, quasi il tentativo di trasformare la conoscenza profonda del vecchio scalpellino (ormai quasi scomparso) in una programmazione informatica. O, meglio ancora: equiparare le capacità e le conoscenze acquisite in anni e anni di faticoso lavoro manuale alla capacità di un programmatore informatico.
Non so, penso che questo rapporto-conflitto debba essere approfondito, pena la perdita di un patrimonio, questo sì tipicamente italiano (il nostro vero Made in Italy).
Lavorazione del marmo con macchinario a controllo numerico
Lavorazione del marmo con manualità ed esperienza