È sceso in campo nel torneo riservato ai “gordos” (cioè ai giocatori che superano i 100 kg) con la sua ultima maglia di giocatore di rugby, la stessa che aveva indossato al suo esordio nella squadra dell’Atlético Estudiantes di Paraná, città dove è nato e dove ha mosso i primi passi ovali. Si è conclusa ufficialmente sabato 17 dicembre la carriera rugbistica di Martin Castrogiovanni, pilone classe 1981, uno dei monumenti del rugby azzurro.
Arrivato in Italia nel 2001 per giocare con Calvisano, l’anno dopo arriverà già la chiamata in nazionale: l’esordio l’8 giugno 2002 ad Hamilton contro la Nuova Zelanda, nel giorno in cui debuttò sul palcoscenico internazionale anche Sergio Parisse. Da allora saranno 119 i caps collezionati dal pilone, secondo giocatore di sempre per presenze in azzurro e decimo nella classifica assoluta mondiale, dietro a mostri sacri come McCaw, O’Driscoll e Gregan.
Nel 2006 va a giocare in Inghilterra, a Leicester, dove si imporrà all’attenzione mondiale come uno dei migliori piloni destri: alla fine della prima stagione in Premiership vincerà il premio di miglior giocatore del torneo, primo pilone e secondo non inglese di sempre ad aggiudicarsi il prezioso titolo. Con la maglia dei Tigers tra il 2006 e il 2013 collezionerà 97 presenze con cinque mete marcate nel massimo campionato inglese e 42 in Heineken Cup oltre a quattro Premiership in sette anni.
Poi arriva la chiamata francese con il prestigioso Tolone, dove metterà in bacheca un Top14 e due Heineken Cup. Il resto è storia recente, con il trasferimento al Racing92, il mondiale 2015 abbandonato per motivi di salute e il caso Las Vegas.
Ha ufficialmente detto stop uno dei giocatori più importanti della storia del rugby italiano, tanto dentro quanto fuori dal campo. Dentro il campo è sempre stato un punto di riferimento per i suoi compagni, un catalizzatore di energia incredibile. Ricordo le partite che ho visto allo stadio: prima dell’inizio lo speaker annuncia le formazioni delle nazionali in campo e solitamente il pubblico applaude. Per lui, invece, c’era sempre un’ovazione, un’esplosione di entusiasmo (come, del resto, anche per il capitano Sergio Parisse).
Fuori dal campo è riuscito a far uscire la palla ovale dalla propria piccola nicchia con le sue apparizioni/comparsate a varie trasmissioni televisive e non solo.
Castrogiovanni era un pilone: uno di quei giocatori che hanno il numero 1 o il 3 (nel rugby il numero di maglia ‘spiega’ il ruolo del giocatore) e, tra le tante cose, sono in prima linea in mischia. In prima linea a lavorare duro, a cercare di vincere la partita nella partita: i piloni giocano sempre una partita all’interno di quella ufficiale. In mischia non si arretra, si avanza sempre e si dà il segnale ai compagni di squadra.
Spesso una mischia vincente, avanzante, riesce a cambiare le sorti di una partita. Oppure si fa ricordare quasi come una vittoria: storici nella memoria degli appassionati gli ultimi dieci minuti dell’incontro tra la nostra nazionale e quella degli All Blacks a Milano nel 2009. Quella partita non viene ricordata per il risultato (vittoria scontata della Nuova Zelanda) ma per la superiorità della nostra mischia che negli ultimi minuti della partita ha tenuto inchiodati i giocatori avversari a pochi metri dall’area di meta. E Castrogiovanni era uno del nostro pacchetto di mischia.
Grazie, Castro. Grazie per tutto quanto hai dato. Grazie per la grinta, la tenacia, la schiettezza. Grazie perché ti sei sempre comportato come uno di noi, nei momenti più felici e in quelli meno, senza mai sentirti superiore. Grazie per la tua normalità.