La strategia della tensione.

Parigi, 13 novembre 2015, venerdì sera. Oltre cento persone normali sono state uccise mentre erano in posti normali: un ristorante, un locale, uno stadio. Come dire che la normalità della vita viene messa in discussione, come dire che nessuno può sentirsi al sicuro.
Viene chiamata “strategia della tensione”: è una strategia politica da realizzare mediante un disegno eversivo, tesa alla destabilizzazione o al disfacimento di equilibri precostituiti. Si basa generalmente su una serie preordinata di atti terroristici, volti a creare uno stato di tensione e di paura diffusa nella popolazione, tali da far giustificare o auspicare svolte politiche di stampo autoritario. Può anche essere attuata sotto forma di tattica militare che consiste nel commettere attentati dinamitardi.
In Italia la conosciamo bene, purtroppo. Negli anni sessanta, settanta e ottanta del secolo scorso abbiamo vissuto situazioni simili: bombe sui treni (Italicus nel 1974 e rapido 904 nel 1984), nelle stazioni (Bologna nel 1980), nelle piazze (Piazza Fontana a Milano nel 1969 e Piazza della Loggia a Brescia nel 1974), oltre a decine di altri episodi simili che hanno caratterizzato quegli anni.
Le motivazioni sono storicamente diverse, politiche o religiose che siano. Questa strategia ha sempre sostituito il dialogo e il confronto, lo ha sempre negato e messo da parte.
La strategia della tensione vive di violenza e sangue e chiede una risposta altrettanto violenta che diventa proprio sostentamento. Allora diventa necessaria una risposta diversa e inattesa: dialogo e confronto, sempre e comunque.
Adesso più che mai.

«Quando mi sono risvegliato senza gambe, ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa.» (Alex Zanardi)