… ovvero una speranza: alla fine della strada potrò dire che i miei giorni li ho vissuti.
Da mesi non scrivo più nulla, dalla scomparsa di mio padre mi sono preso del tempo per me. Ho elaborato il lutto, il dolore, ho accettato la non presenza e ho lasciato ricadere tutto ciò sulla mia vita, anzi nella mia vita.
E mi sono accorto che molto è cambiato.
Non riesco a definire questo percorso durato oltre cinque mesi, certamente, però, una delle conseguenze è la decisione di riprendere questo spazio che avevo definito “Cultura” e di riempirlo di significati.
Quello che mi appare chiaro è che non ho resettato la mia vita: resettare significa riportare qualcosa alla condizione iniziale, è un termine che si adatta naturalmente a macchinari tecnologicamente avanzati. Infatti si dice: “resettare un cellulare, un computer, una centralina…”, nel senso di eliminare lo storico e riportare la memoria allo stato iniziale. Ovviamente non può essere associato alla condizione umana.
Potrei forse dire di avere ripreso in mano e ridefinito i miei confini. È difficile da spiegare. Cerco di farlo con un esempio pratico: quando giriamo nei boschi o nei prati delle zone di montagna, capita di imbatterci in pietre colorate di rosso o giallo: sono i cosiddetti “termini”, il punto che segna il cambio di proprietà di un bosco o di un prato. Ogni tanto vengono ripitturati affinché non vadano persi. Queste pietre, questi termini, solitamente hanno un significato solamente per coloro che li conoscono, per coloro che sono proprietari della zona sopra o di quella sotto. Per tutte le altre persone che ci passano, invece, sono solamente pietre sporche di colore.
È un po’ quello che è capitato a me: ho ricercato i miei confini, alcuni forse erano persi o coperti da rovi e tutto quanto è nel frattempo cresciuto. Ho fatto un po’ di pulizia e li ho ridefiniti, li ho ridipinti e resi visibili.
Alla fine mi sono accorto che lo spazio delimitato dai termini è molto più ampio di quello che ricordavo, di quello che la vita quotidiana mi lascia vedere, di quello che il solito tran-tran mi porta a pensare. Mi sono accorto che è necessario ripulire costantemente lo spazio personale da tutto quanto non serve o è inutile, tenerlo pulito affinché – come cantava Pierangelo Bertoli – “alla fine […] potrò dire che i miei giorni li ho vissuti”.
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Da “A muso duro”, di Pierangelo Bertoli, 1979
Ho sempre odiato i porci e i ruffiani e quelli che rubavano un salario,
i falsi che si fanno una carriera con certe prestazioni fuori orario.
Canterò le mie canzoni per la strada
e affronterò la vita a muso duro,
un guerriero senza patria e senza spada
con un piede nel passato
e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.
[…]
E non so se avrò gli amici a farmi il coro o se avrò soltanto volti sconosciuti,
canterò le mie canzoni a tutti loro
e alla fine della strada potrò dire che i miei giorni li ho vissuti.